Per gli appassionati di questo sport che ne sanno cogliere le sfumature di gioco più sottili, sicuramente. Ma per tutti quelli che vedono una partita per la prima volta e non sanno le regole? Confusione assoluta!
Qualcuno una volta mi disse (non ho mai verificato in realtà) che nel baseball ci sono 15.000 regole di cui 5.000 fondamentali. Di primo acchito suona di esagerato ma se uno comincia a pensare solo alle regole di attrezzature (palline, mazze, caschetti, divise ecc…) o di campo (dimensioni, recinzioni, distanze, dogout, altezza del monte, basi, pedana, righe del campo ecc…), capisce bene che alla fine unendo anche le regole fondamentali del gioco (strike, ball, out ecc…) forse a quel numero ci si arriva.
Questo aiuta ad avvicinare il pubblico?
Neanche per sogno!
Un giorno un mio amico convinse suo padre a venire a vedere una sua partita di baseball. Il genitore appena arrivato al campo chiese: “Dove sono le porte?” “Non ci sono papà…” “Che sport del cavolo” (in realtà usò un altro termine) e se ne andò.
Eppure…
Eppure qualcosa si deve fare. Non possiamo non cercare di far appassionare le persone a uno sport che si gioca in un campo bellissimo fatto di colori complementari (vuol dire che il rosso della terra e il verde dell’erba sono lo stesso colore al positivo e al negativo) spesso illuminato da luci che ne esaltano la romanticità e che spesso rappresentano enormi prati in mezzo ai palazzi. Un gioco dove gli allenatori sono in campo in divisa (unico sport) e dove i gesti atletici (colpire la pallina con la mazza lanciata ad alta velocità è considerato il gesto atletico più difficile di tutti gli sport) sono accentuati dalle grandi prestazioni fisiche dei giocatori.
Come fare allora?
Nessuno possiede la bacchetta magica e questo breve articolo non vuole certo andare a scomodare statisti ed esperti di marketing e comunicazione ma se ognuno, nel suo piccolo, lancia un seme, qualche nuova piantina spunterà.
E’ il mio caso.
Io di mestiere faccio l’attore e il regista di teatro (sì, esiste chi lo fa come lavoro e non hobby) e dopo una vita passata sui campi, sia come giocatore che come allenatore, di tutto il mondo, mi è sembrato doveroso dedicare uno spettacolo allo sport che mi accompagna da quarantacinque anni.
Volevo però scrivere uno spettacolo che potesse essere coinvolgente sia da parte di un pubblico di appassionati di baseball, che magari a teatro non ci sono mai andati, che da quello teatrale che invece non ha mai probabilmente visto una partita e non conosce le regole.
Nasce così “L’ULTIMA PARTITA”, la storia di Lou Gehrig.
E sì, perché per poter coinvolgere il pubblico, ci vuole prima di tutto una “buona storia da raccontare” e quella della vita del grande campione dei New York Yankees del passato è sicuramente quella giusta.
Sarà perché è stato uno dei primi ad ammalarsi di una malattia terribile (la SLA ribattezzata “morbo di Gehrig”) nel momento in cui era all’apice della sua carriera o sarà per la sua rivalità con un altro campionissimo, della storia, come Babe Ruth. Oppure, semplicemente, perché ha dato una grande lezione di vita (e di romanticismo come si diceva prima) iniziando il suo discorso d’addio al baseball, dopo aver scoperto di avere la malattia, cominciando il suo discorso davanti a 40.000 persone (40.000!) con la frase ormai celebre “Io sono un uomo fortunato”.
Ma come spiegare le regole e le statistiche che fanno dei giocatori di baseball dei campioni a chi non conosce il baseball?
Si diceva che il baseball ha 5.000 regole fondamentali ma, come in tutti gli sport, si possono elencarne le principali per poter dare un’idea di che cosa avvenga durante una partita.
Per farle comprendere, però, devi farlo come se le stessi spiegando a un bambino e ai bambini si rizzano le orecchie ogni volta che si parla di guerra (intesa come gioco) e quindi...
Così comincia la mia spiegazione del gioco, con un ragazzo che spiega a un bambino le regole del baseball come “se fosse una missione di guerra dove partire da casa base, conquistare le basi e tornare a casa base sano e salvo!”
Ovviamente poi si procede con gli strikes e balls, l’attacco e la difesa (così non ti chiederanno mai se sei quello che lancia o che batte) e il gesto principe di questo sport: il fuoricampo.
E le statistiche?
Beh, quelle vengono snocciolate come numeri capaci di far comprendere la grandezza del giocatore (basta dire che il record di partite consecutive di Lou Gehrig è rimasto imbattuto per 70 anni e che difficilmente verrà superato in futuro) e il pubblico intercetta una magnificenza della cosa pur non comprendendola fino in fondo.
Sì, ma fa ridere lo spettacolo?
In realtà in alcuni momenti anche, ma mi chiedo: uno che va a vedere una partita di qualsiasi sport si aspetta di r
idere allo stadio (che vorrebbe dire una prestazione ridicola di gioco)? O preferirebbe appassionarsi alle azioni di gioco?
Non dimentichiamo, poi, che si parla anche di una malattia terribile e l’abilità sta nel non far mai cadere il racconto nel patetismo, anzi…
Il mio scopo è quello di esaltare la bravura, la signorilità, l’esempio di un uomo che è stato un grande campione sia dentro che fuori dal campo e che ha lasciato un segno importante nella storia di questo sport.
Basta uno spettacolo a far appassionare la gente al baseball?
Sicuramente no. E’ un seme. Quello che dovrebbe incuriosire le persone a saperne di più. Non parlo solo di appassionarsi al baseball ma anche al teatro, rendendo i campi da gioco non soltanto “arene di gioco” ma anche luoghi capaci di crescere uomini migliori che magari, in futuro, diano altri esempi positivi sia come campioni di baseball che come persone appartenenti a una società civile. Come?
Magari con un sorriso come quello di Lou.
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